Ragazzo si suicida perché viene menato,offeso,bullizzato

Morto per bullismo, nuove accuse
Ma l’indagine si era fermata

Vercelli, i colleghi: «Nulla di crudele». Il padre: fatemi vedere quelle immagini. La procura aveva chiesto di archiviare la denuncia, ora ci ripensa
di Claudio Del Frate




Due versioni inconciliabili per la stessa tragedia. Andrea Natali si è davvero tolto la vita per via degli atroci scherzi che subiva al lavoro e che venivano postati sui social network? «Erano solo un paio di foto, del tutto innocenti, non ci ho visto assolutamente nulla di crudele» dice Luca Giolitto, il titolare della carrozzeria di cui Andrea era dipendente. «Non ci credo. La polizia mi ha detto che non poteva farmi vedere quelle immagini, tanto erano crudeli» ribadisce Federico Natali, il papà della vittima.
In mezzo c’è la procura di Vercelli, chiamata a riconsiderare un caso che pareva destinato a non avere seguito: per il primo fascicolo aperto nel 2014 a seguito della denuncia del ragazzo era stata chiesta l’archiviazione ma ora ne è stato aperto un secondo, per gli stessi fatti, con ipotesi di reato aggravate.

La carrozzeria «del Borgo» è uno dei primi edifici del paese per chi arriva dall’autostrada Milano-Torino: qui dal 2006 al 2013 ha lavorato Andrea Natali, qui sarebbero avvenuti gli scherzi che avrebbero fatto cadere il giovane nel pozzo oscuro della depressione e della vergogna. Luca Giolitto, il titolare, non si ritrae di fronte alla richiesta di spiegazioni: «Anch’io sono stato sentito dalla Polizia postale l’anno scorso. Mi erano state mostrate solo due foto; nella prima c’era Andrea seduto su un cassonetto dell’immondizia, nella seconda era ritratto su uno dei carrelli dell’officina. Due pose per me del tutto normali come ne scattavamo tante qui in carrozzeria. Non ci ho visto nulla di male; Andrea era un carattere molto timido ma mai avremmo pensato che potesse rimanere ferito da quelle foto».

E invece il peggio è successo; davvero non c’era mai stato un segnale premonitore sul lavoro? «Mai, lo giuro - continua Giolitto - tant’è vero che avevo passato il ragazzo da apprendista a operaio a tempo indeterminato: segno che per me era a posto. Più volte mi aveva detto che soffriva del fatto di non avere una fidanzata». Poi il carrozziere tira fuori dalla memoria l’episodio chiave, il giorno in cui i nervi di Andrea cedettero di schianto: «Quel giorno lo avevo incaricato di portare una vettura da qui a Vercelli; dopo un po’ mi arriva una telefonata, Andrea mi chiede di andare a prenderlo; lo trovo a metà strada, chiuso dentro l’auto che piange a dirotto. L’unica cosa che diceva era “per favore non portarmi a casa dai miei”».

E invece quel giorno Andrea a casa ci torna ma non si farà mai più rivedere al lavoro. «Non riusciva a dirci niente - ribadisce Federico, il padre -, urlava solo cose incomprensibili, non ho mai saputo cosa fosse successo quel giorno. E solo un anno più tardi, attraverso la psicologa di mio figlio, ho saputo del bullismo. Immagini innocenti? Fatemele vedere, perché a me è stata detta una cosa diversa, è stato detto di foto in cui Andrea è appeso a testa in giù, di scherzi con la pistola ad aria compressa...».
Ma cosa ha fatto precipitare la situazione, fino a determinare il suicidio? «Lui era terrorizzato dall’idea di uscire in paese, era terrorizzato secondo me anche all’idea di affrontare il processo e trovarsi a tu per tu con gli ex colleghi» è il parere di Liliana, la madre di Andrea.

La decisione ora è nelle mani della magistratura. La procura di Vercelli ha aperto un nuovo fascicolo. «Si tratterà di stabilire se esiste davvero un nesso tra la diffusione di quelle immagini su Facebook e YouTube e la morte del giovane» dice con prudenza il procuratore capo Paolo Tamponi. Il quale però svela un altro dettaglio: «Per la denuncia precedente, quella legata solo ai presunti episodi di bullismo e per i quali era indagato un collega della vittima, il mio ufficio aveva chiesto l’archiviazione delle accuse. A breve il gip avrebbe dovuto decidere».